🇨🇭 François W. C. Trafford - Viaggiatore visionario

Nell’affollato catalogo di viaggiatori (e viaggiatrici) – scrittori, pittori, naturalisti, militari ecc. – che nel corso dei secoli hanno visitato il Golfo della Spezia, il più misterioso è senza dubbio “un certo” Trafford.
Nel 1874 era uscito a Zurigo un piccolo libro, scritto da un misterioso autore, dal titolo non meno misterioso: Amphiorama ou la vue du monde des montagnes de la Spezia. Phénomène inconnu et, pour la première fois, observé et décrit par F.W.C. Trafford.
Di tale operetta l’autore pubblicherà negli anni successivi, sempre in Svizzera, ancora sei versioni, parzialmente differenti: l’ultima è del 1881.
Dell’ Amphiorama si accorgeranno, prima il naturalista spezzino Giovanni Capellini (1833-1922) che nel 1919 lo segnala nelle “Memorie della Società Lunigianese”, poi lo scrittore spezzino Ettore Cozzani (1884-1971) che inserisce in forma di racconto l’avventura visionaria di Trafford in un libro dedicato alle Leggende di Lunigiana (1931).
I due autori partecipano subito alla creazione del “mito” di Trafford, infatti ne scrivono soltanto sulla base del volumetto stesso – di per sé speciale, anzi, «specioso» come lo definì Capellini – senza in realtà avere idea di chi egli fosse, immaginandolo «inglese» (cosa almeno in parte vera), un «grande viaggiatore» (che non fu), «vecchio» (al momento della sua ascesa sulla Castellana Trafford aveva in realtà 48 anni) e, del tutto arbitrariamente «alto, magro, con i capelli tutti bianchi e il viso glabro».

Ma che cosa ha contribuito a fare di Trafford un mito che dalla prima scoperta di Capellini aleggia sul Golfo? E che cosa significava Amphiorama?
Assente nei dizionari, la parola evoca diorami, georami, cosmorami: forme sensazionali di rappresentazione proliferate nel corso dell’Ottocento nel mondo occidentale al fine di dare agli spettatori fermi nelle loro città l’illusione del viaggio.
E difatti anche l’ Amphiorama di Trafford è, a suo modo, lo spettacolo di un viaggio mentale.
Con Trafford non siamo, infatti, davanti a una delle consuete, ancorché interessantissime, descrizioni delle magnificenze paesaggistiche del Golfo spezzino. Al contrario, nel suo libretto Trafford “usa” il paesaggio spezzino, per la precisione la sua cima più elevata, il Monte Castellana, come punto di vista da cui si riesce a vedere il mondo intero che egli descrive appunto nel suo Amphiorama.

 

Dalla cima della Castellana, nella trasparenza di certe giornate dalla montaliana “aria di vetro”, lo sguardo percorre un ampio giro d’orizzonte abbracciando a est le creste taglienti delle Apuane e la costa bassa della Versilia quasi fossero a un passo, a mezzogiorno i profili delle isole toscane e della Corsica, a ovest la linea lontana del litorale francese e le Alpi Marittime per riprendere la teoria di punte e promontori della Liguria di Levante fino a posarsi, lì sotto, sulla costa delle Cinque Terre. A questa posizione dominante la vetta deve forse il toponimo, giacché castelli non ne ebbe mai, e restò coperta solo dal bosco e dalla macchia finché su di essa non si cominciò a progettare, per ragioni di difesa delle infrastrutture militari previste nel Golfo – si era in epoca napoleonica – non un castello ma un forte, realizzato invece in epoca postunitaria. Non meraviglia dunque che sia stato questo luogo ad ispirare Trafford. «Di qui vedrete il capo del mondo!» scrive.

Il registro del testo lascia interdetti: si tratta di un’esperienza letteraria volutamente paradossale o del frutto di un folle?
Eventualmente, un folle ben ferrato in geografia.
Come colto da una sindrome di Standhal tutta speciale, davanti agli occhi di un Trafford abbagliato dalla luce del Golfo scorrono, come pagine di un atlante a tre dimensioni, tutti i continenti del globo con le loro caratteristiche.
Del bacino del Mediterraneo, che gli appare, ovviamente, per primo, il “viaggiatore” vede subito le «isole gemelle» Corsica e Sardegna e, poco oltre, la massa montuosa della Spagna. Il mare è di una calma assoluta e lo sguardo ne attraversa la distesa fino a cogliere i contorni dello stretto di Tarifa, ma la catena dell’Atlante ripida e boscosa s’innalza per chiudere il panorama a sud come il massiccio iberico gli impedisce di vedere il Portogallo e la costa atlantica. Improvvisamente,

senza perdere alcuna delle loro proporzioni, tutte le montagne si abbassano per permettere la prospettiva a volo d’uccello. La convessità del globo si sviluppa in un piano orizzontale. E le distanze conservano i naturali rapporti senza provocare alcuna modificazione sulla dimensione degli oggetti.

La visione si fa subito cartografica per una sorta di grandiosa proiezione; poi le terre si appiattiscono e si risollevano, si rimpiccioliscono e riallargano in un continuo alternarsi di giochi di scala e di prospettiva. Ecco che la vicina barriera appenninica le cui creste raggiungono i 2000 metri si abbassa al punto di lasciar scorrere la vista a “comprendere nel quadro” il Peloponneso, Cefalonia e Corfù. Lo sguardo si sposta su una specie di piccola piramide. L’autore si chiede se non si tratti di Capri, che gli è familiare per essere stato, dice, il primo turista ad aver visitato la Grotta Azzurra. Ma mentre la osserva, l’isola si ingrandisce, quindi cessa di espandersi per attestarsi a grandezza reale. Si accorge allora che si tratta dell’Etna “maestoso” la cui dimensione è proprio quella che si vede dalla sua base, da Acireale o da Catania. L’elevazione nasconde allo sguardo una buona parte dell’Africa, visibile prima che il vulcano da pianta si facesse rilievo.
In sintesi, grazie a questi cambiamenti di scala, a questo continuo movimento di piani che si fanno volumi (e viceversa), dal suo osservatorio il nostro viaggiatore può vedere e descrivere il mondo intero, il mosaico di oceani e continenti che lo compongono con i loro caratteri distintivi: catene, deserti, ghiacci, foreste, fiumi, città, tutti correttamente denominati. Indugia, inoltre, su dettagli minuziosi, come i «tre yachts inglesi […] facenti vela verso Genova» individuati nel Mediterraneo, due vapori a ruota nello stretto di Bonifacio, la cupola del Panteon di Parigi con il riflesso del sole sul vetro di una finestra, la gente che affolla il ponte di un battello per l’Irlanda fino a distinguere l’abbigliamento del capitano e leggere il giorno e l’ora («la data dell’osservazione!») scritti su una pagina del libro di bordo di un’imbarcazione nella rada di Cherbourg.
E così di seguito.

Ma il nostro autore non si limita a raccontare il pianeta: egli assicura di aver assistito al passaggio della Terra nella testa di una cometa.
Infatti, dopo aver visto, grazie a un sistema di grandi specchi collocati sulla superficie esterna dell’atmosfera, il mondo, e averlo descritto e ri-descritto anno dopo anno corredando di volta in volta il proprio resoconto di infiniti dettagli sul clima, sulla geologia delle terre artiche, sui paesaggi africani ecc., Trafford deve aver ritenuto necessaria una spiegazione più convincente. Utilizza la cometa per giustificare “scientificamente” la vista dell’intero pianeta.
Più ancora della costruzione di specchi, la cometa di Trafford è un piccolo capolavoro di geografia surreale.
Questo è avvenuto «alle otto del mattino del 31 marzo o 1° aprile 1869», racconta, quando si trovava, immerso in una calma universale perfetta e in una luce pura, sullo «sperone della Spezia» con davanti a sé due prospettive:

Una era la cupola del mio zenit. Questa era in pieno giorno, e non conteneva quindi altri astri oltre il sole. E’ da sottolineare che il sole non l’ho visto. Futuri osservatori lo cercheranno […]. La seconda era il quadro del planisfero, contenuto nella cometa […].

Nel 1881, Francesco Guglielmo Clemente Trafford, di illustre famiglia inglese, nato a Napoli l’8 marzo 1821 e poi divenuto cittadino svizzero, innamorato della sua cometa, ripubblicherà, «senza il permesso degli astronomi» e senza aver avuto soddisfazione alcuna dalle istituzioni geografiche da lui sollecitate ad esprimersi sulle sue scoperte, questo stesso testo dell’Amphiorama che egli conclude, come sempre, con l’ultimo indirizzo “di casa”, corredandolo, questa volta, di un appello:

Avviso. Trovata UNA COMETA. Gli astronomi che l’hanno perduta possono reclamarla all’indirizzo sopra indicato, fornendo la sua descrizione. Una ricompensa è d’uso.

 

Nessuno, si presume, gliela avrà riportata. Per questo Trafford non ne scrisse più?

Per una più completa conoscenza del testo e del suo folle autore si veda W.C. Trafford, La vista del mondo, Genova, Il Melangolo, 2013.

 

@ Luisa Rossi

🇨🇭 “PERCORSI” – François W. C. Trafford, viaggiatore visionario